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LOCKDOWN A VENEZIA
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È la primavera del 2020, è l’inizio del lockdown, quello duro, quello che conosciamo tutti. È l’inizio di un incubo interminabile. È l’inizio di una fine non ancora arrivata, a distanza di anni.
Un uomo esce timoroso di casa, addentrandosi nella densa luce di un pomeriggio deserto. Il primo di molti.
Lo noto subito, non solo perché è rimasto immobile sotto l'uscio di casa per alcuni minuti in balia di un’evidente indecisione, ma perché è l’unica persona in zona. L’unica.
Sto percorrendo la lunga riva che costeggia il bacino di Venezia, dalla quale è possibile vedere molto lontano in ogni direzione. Non c’è nessuno sotto il caldo sole silenzioso che inizia ad allungare le ombre su Venezia. Non ci sono passanti, non ci sono vaporetti, non ci sono barche. Le uniche cose che si muovono a fatica, nello scenario surreale che mi si presenta, sono le onde nell’acqua e le nuvole in cielo.
L’uomo percorre alcuni metri. Ha paura, è così evidente. Si guarda attorno come un animale spaventano che ha appena fiutato un predatore. Si ferma davanti ad un locale chiuso, lo esamina come se non lo avesse mai visto prima, sebbene abiti a pochi passi da lì. Lo osservo mentre è di spalle eppure mi sembra di vedere il suo volto dove un’espressione di incredulità, mista all’orrore, inizia a prendere il sopravvento.
Si gira e mi vede per la prima volta, nonostante io fossi sempre stato lì e fossi l’unica persona, oltre a lui, nel raggio di chilometri. Non parla ma nei suoi occhi riesco a leggere tutto. Ha disperatamente bisogno che qualcuno gli dica che non sta accadendo realmente, che non è reale. Ha bisogno che qualcuno lo convinca che si tratta di un brutto sogno. Ha bisogno che qualcuno lo svegli.
Io non dico nulla, mi volto e inizio a camminare, lasciandolo dietro di me ad affrontare quella spaventosa desolazione. Ho già scattato la foto prima che si accorgesse della mia presenza, il mio rapporto con lui si è già concluso sebbene non sia mai iniziato. Una foto dove lui rimarrà per sempre a contemplare una dimensione alternativa di un mondo che pensava di conoscere.
Forse quell’uomo è ancora lì, a vivere quel breve ma interminabile momento che abbiamo condiviso senza dire nulla.
Un uomo esce timoroso di casa, addentrandosi nella densa luce di un pomeriggio deserto. Il primo di molti.
Lo noto subito, non solo perché è rimasto immobile sotto l'uscio di casa per alcuni minuti in balia di un’evidente indecisione, ma perché è l’unica persona in zona. L’unica.
Sto percorrendo la lunga riva che costeggia il bacino di Venezia, dalla quale è possibile vedere molto lontano in ogni direzione. Non c’è nessuno sotto il caldo sole silenzioso che inizia ad allungare le ombre su Venezia. Non ci sono passanti, non ci sono vaporetti, non ci sono barche. Le uniche cose che si muovono a fatica, nello scenario surreale che mi si presenta, sono le onde nell’acqua e le nuvole in cielo.
L’uomo percorre alcuni metri. Ha paura, è così evidente. Si guarda attorno come un animale spaventano che ha appena fiutato un predatore. Si ferma davanti ad un locale chiuso, lo esamina come se non lo avesse mai visto prima, sebbene abiti a pochi passi da lì. Lo osservo mentre è di spalle eppure mi sembra di vedere il suo volto dove un’espressione di incredulità, mista all’orrore, inizia a prendere il sopravvento.
Si gira e mi vede per la prima volta, nonostante io fossi sempre stato lì e fossi l’unica persona, oltre a lui, nel raggio di chilometri. Non parla ma nei suoi occhi riesco a leggere tutto. Ha disperatamente bisogno che qualcuno gli dica che non sta accadendo realmente, che non è reale. Ha bisogno che qualcuno lo convinca che si tratta di un brutto sogno. Ha bisogno che qualcuno lo svegli.
Io non dico nulla, mi volto e inizio a camminare, lasciandolo dietro di me ad affrontare quella spaventosa desolazione. Ho già scattato la foto prima che si accorgesse della mia presenza, il mio rapporto con lui si è già concluso sebbene non sia mai iniziato. Una foto dove lui rimarrà per sempre a contemplare una dimensione alternativa di un mondo che pensava di conoscere.
Forse quell’uomo è ancora lì, a vivere quel breve ma interminabile momento che abbiamo condiviso senza dire nulla.
Rialto all’apice del lockdown. È inutile suonare, qui non vi aprirà nessuno.
Aprile 2020. La stazione ferroviaria di Santa Lucia era completamente deserta. Completamente.
Ero arrivato a piedi partendo da San Zaccaria e, nonostante avessi attraversato mezza Venezia, non avevo incontrato nessuno. Nemmeno una persona, ed era pomeriggio.
All’interno della stazione ebbi quasi un sobbalzo quando, voltandomi mentre scattavo qualche foto, mi ritrovai davanti a questa vetrina. Provai quasi conforto nella compagnia di questi manichini. Finalmente vedevo qualcuno. Persone di plastica che popolavano le vetrine di negozi abbandonati, all’interno di una stazione desolata, situata in una città deserta.
Il mondo era andato avanti, avrebbe detto Roland. Ma questo pensiero non mi divertì, poiché per un attimo immaginai Charlie che arrivava ghignando, percorrendo uno dei tanti binari vuoti che si trovavano alle mie spalle.
I vetri dei negozi riflettevano un mondo alieno, statico, dove gli unici spettatori erano loro: schiavi inanimati, tenuti prigionieri in spazi divenuti sterili. Testimoni inconsapevoli di un nuovo mondo privo di vita.
Ricordo quel pomeriggio, quando ero in bilico tra estasi e orrore poiché la stazione ferroviaria di Santa Lucia era completamente deserta. Completamente.
Ero arrivato a piedi partendo da San Zaccaria e, nonostante avessi attraversato mezza Venezia, non avevo incontrato nessuno. Nemmeno una persona, ed era pomeriggio.
All’interno della stazione ebbi quasi un sobbalzo quando, voltandomi mentre scattavo qualche foto, mi ritrovai davanti a questa vetrina. Provai quasi conforto nella compagnia di questi manichini. Finalmente vedevo qualcuno. Persone di plastica che popolavano le vetrine di negozi abbandonati, all’interno di una stazione desolata, situata in una città deserta.
Il mondo era andato avanti, avrebbe detto Roland. Ma questo pensiero non mi divertì, poiché per un attimo immaginai Charlie che arrivava ghignando, percorrendo uno dei tanti binari vuoti che si trovavano alle mie spalle.
I vetri dei negozi riflettevano un mondo alieno, statico, dove gli unici spettatori erano loro: schiavi inanimati, tenuti prigionieri in spazi divenuti sterili. Testimoni inconsapevoli di un nuovo mondo privo di vita.
Ricordo quel pomeriggio, quando ero in bilico tra estasi e orrore poiché la stazione ferroviaria di Santa Lucia era completamente deserta. Completamente.
Piazza San Marco, lockdown 2020. Solo luce e ombra.
Un uomo passeggia accanto al suo fedele compagno, assorto in chissà quali pensieri. Camminano entrambi guardando in basso; l’uno seguendo il suo olfatto, l’altro seguendo il suo amico.
Mentre lo osservo muoversi silenziosamente, deduco che si tratti di un veneziano. Ne sono certo perché, pur trovandosi in uno dei luoghi più affascinanti al mondo, non si guarda attorno per vedere le meraviglie che lo circondano, come farebbe un turista. E poi siamo all’apice del lockdown, non ci sono turisti a Venezia.
L’uomo cammina a testa bassa, di sicuro sa che se alzasse lo sguardo quello che vedrebbe attorno a lui sarebbe il vuoto assoluto. Un vuoto che probabilmente piace al suo piccolo amico, permettendogli di muoversi in totale libertà, ma che per lui rappresenta qualcosa di troppo opprimente da sopportare.
Lui sa come dovrebbe essere questa piazza in primavera, se le cose fossero al loro posto. Se il mondo non fosse andato avanti. Sa che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel presente che sta vivendo. Sa che se alzasse lo sguardo quello che vedrebbe sarebbe solo luce e ombra.
Un uomo passeggia accanto al suo fedele compagno, assorto in chissà quali pensieri. Camminano entrambi guardando in basso; l’uno seguendo il suo olfatto, l’altro seguendo il suo amico.
Mentre lo osservo muoversi silenziosamente, deduco che si tratti di un veneziano. Ne sono certo perché, pur trovandosi in uno dei luoghi più affascinanti al mondo, non si guarda attorno per vedere le meraviglie che lo circondano, come farebbe un turista. E poi siamo all’apice del lockdown, non ci sono turisti a Venezia.
L’uomo cammina a testa bassa, di sicuro sa che se alzasse lo sguardo quello che vedrebbe attorno a lui sarebbe il vuoto assoluto. Un vuoto che probabilmente piace al suo piccolo amico, permettendogli di muoversi in totale libertà, ma che per lui rappresenta qualcosa di troppo opprimente da sopportare.
Lui sa come dovrebbe essere questa piazza in primavera, se le cose fossero al loro posto. Se il mondo non fosse andato avanti. Sa che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel presente che sta vivendo. Sa che se alzasse lo sguardo quello che vedrebbe sarebbe solo luce e ombra.
Venezia, stazione ferroviaria. Due anni fa, all’apice del lockdown. Nessuno parte, nessuno arriva.
Il silenzio regna ovunque, è assoluto, nemmeno il vento osa sussurrare la sua presenza. Ad infrangerlo c’è solamente un messaggio registrato che, ogni cinque minuti, viene diffuso ad un volume troppo alto, attraverso gli altoparlanti. La voce femminile e metallica invita i viaggiatori a rispettare le norme di sicurezza, con lo scopo di evitare il contagio.
Ma non ci sono viaggiatori ad ascoltarla. Nemmeno uno. Nessuno parte, nessuno arriva.
Mi scopro protagonista di un film post apocalittico, sono una figura solitaria che vaga tra i resti di una civiltà svanita. Mi ritrovo a riflettere su quanto sia ridicolo il pensiero di essere rimasto solo, prima di comprendere quanto lo possa essere stato anche per Jim, dopo essersi svegliato dal coma in 28 giorni dopo. Eppure lui era lì, a vagare da solo per la città, così come lo ero io.
La voce metallica interrompe i miei pensieri, mi guardo attorno. Nessuno parte, nessuno arriva.
Un ultimo raggio di sole illumina i binari, prima della curva. L’ultima luce prima delle tenebre. Cerco di immaginare quanto possa risultare spettrale la stazione nelle notti del lockdown, completamente deserta, e capisco che non ho alcuna intenzione di scoprirlo. A stento riesco a sopportare di giorno quella situazione opprimente di assoluta solitudine, di notte non potrei mai farcela.
Mi avvio verso l’uscita, dove la fioca luce mi sembra più amichevole. Mi volto a guardare un’ultima volta la stazione ferroviaria all’apice del lockdown. Una stazione dove nessuno parte e nessuno arriva.
Il silenzio regna ovunque, è assoluto, nemmeno il vento osa sussurrare la sua presenza. Ad infrangerlo c’è solamente un messaggio registrato che, ogni cinque minuti, viene diffuso ad un volume troppo alto, attraverso gli altoparlanti. La voce femminile e metallica invita i viaggiatori a rispettare le norme di sicurezza, con lo scopo di evitare il contagio.
Ma non ci sono viaggiatori ad ascoltarla. Nemmeno uno. Nessuno parte, nessuno arriva.
Mi scopro protagonista di un film post apocalittico, sono una figura solitaria che vaga tra i resti di una civiltà svanita. Mi ritrovo a riflettere su quanto sia ridicolo il pensiero di essere rimasto solo, prima di comprendere quanto lo possa essere stato anche per Jim, dopo essersi svegliato dal coma in 28 giorni dopo. Eppure lui era lì, a vagare da solo per la città, così come lo ero io.
La voce metallica interrompe i miei pensieri, mi guardo attorno. Nessuno parte, nessuno arriva.
Un ultimo raggio di sole illumina i binari, prima della curva. L’ultima luce prima delle tenebre. Cerco di immaginare quanto possa risultare spettrale la stazione nelle notti del lockdown, completamente deserta, e capisco che non ho alcuna intenzione di scoprirlo. A stento riesco a sopportare di giorno quella situazione opprimente di assoluta solitudine, di notte non potrei mai farcela.
Mi avvio verso l’uscita, dove la fioca luce mi sembra più amichevole. Mi volto a guardare un’ultima volta la stazione ferroviaria all’apice del lockdown. Una stazione dove nessuno parte e nessuno arriva.
Lockdown 2020, Bacino Orseolo. Le gondole attendono inutilmente in fila.
Da finestre chiuse il vuoto osserva gondole dimenticate. L’acqua è immobile, la desolazione ha annichilito anche lei. Un raggio di sole entra titubante, non osa disturbare la prepotente quiete che domina su tutto.
Da finestre chiuse il vuoto osserva i miei movimenti. Occhi inesistenti mi scrutano mentre vago silenziosamente, congelando attraverso il mio obiettivo la realtà congelata che mi circonda.
Da finestre chiuse il vuoto osserva la città nella sua nuova forma. Pietra, legno, vetro, acqua. Questi sono gli elementi che compongono la nuova civiltà, privata della sua carne.
Da finestre chiuse il vuoto osserva il vuoto. È il lockdown del 2020. È il Bacino Orseolo.
Da finestre chiuse il vuoto osserva i miei movimenti. Occhi inesistenti mi scrutano mentre vago silenziosamente, congelando attraverso il mio obiettivo la realtà congelata che mi circonda.
Da finestre chiuse il vuoto osserva la città nella sua nuova forma. Pietra, legno, vetro, acqua. Questi sono gli elementi che compongono la nuova civiltà, privata della sua carne.
Da finestre chiuse il vuoto osserva il vuoto. È il lockdown del 2020. È il Bacino Orseolo.
Lockdown, Chiesa di San Moisè da Calle Larga XXII Marzo. Una porzione di telo è vuota, nessuna stampa a simulare la sacra struttura che si cela al suo interno.
Sono bloccato al centro della calle deserta, non riesco a distogliere lo sguardo da quello spazio vuoto. È lo schermo di un immenso cinema, sul quale non c’è nulla da proiettare. La rappresentazione di un film inesistente, alla quale nessuno sta assistendo.
Continuo ad osservarlo, mentre geometrie di ombre e pietra ridisegnano la scena nella mia mente. I palazzi veneziani fanno da cornice ad un palco desolato, eretto per un pubblico immaginario.
Se io fossi tra coloro che vagano nelle Terre Desolate, lo vedrei come un portale che conduce in una dimensione di denso nulla. Un vettore da seguire per raggiungere la Torre. Denis avrebbe capito.
Continuo a rimanere lì, in attesa che le immagini inizino a scivolare sullo schermo. Il lockdown sta cambiando le mie prospettive mentali. Vagare nella più totale desolazione, per mesi, ha delle conseguenze. Devo trovare un nuovo centro di gravità mentale permanente.
Sono bloccato al centro della calle deserta, non riesco a distogliere lo sguardo da quello spazio vuoto. È lo schermo di un immenso cinema, sul quale non c’è nulla da proiettare. La rappresentazione di un film inesistente, alla quale nessuno sta assistendo.
Continuo ad osservarlo, mentre geometrie di ombre e pietra ridisegnano la scena nella mia mente. I palazzi veneziani fanno da cornice ad un palco desolato, eretto per un pubblico immaginario.
Se io fossi tra coloro che vagano nelle Terre Desolate, lo vedrei come un portale che conduce in una dimensione di denso nulla. Un vettore da seguire per raggiungere la Torre. Denis avrebbe capito.
Continuo a rimanere lì, in attesa che le immagini inizino a scivolare sullo schermo. Il lockdown sta cambiando le mie prospettive mentali. Vagare nella più totale desolazione, per mesi, ha delle conseguenze. Devo trovare un nuovo centro di gravità mentale permanente.
C’era una volta a Venezia.
Il lockdown non ha risparmiato nessuno. I passi dei lavoratori assenti riecheggiano silenziosi, un’eco che può sentire solamente chi non ha coraggio di ascoltare.
Un cantiere assopito sfregia la riva. Da una parte il bacino lo imprigiona senza delimitazioni, dall’altra una recinzione lo libera con il suo confine, dove le ombre dei suoi oggetti inanimati possono prendere vita.
Osservo la rete, non vedo nulla che valga la pena di guardare. Osservo la rete e vedo un mondo che attende di essere fotografato.
L’occhio sinistro si chiude, non vuole vedere la desolante realtà. Quello destro si apre, vuole ammirare la singolare e ordinaria dimensione prendere forma attraverso l’obiettivo.
Una volta non avrei saputo cosa guardare, annoiato dal nulla in cui mi trovo. Ora non so da dove iniziare, sopraffatto dal troppo che mi circonda.
Il cantiere sembra risvegliarsi nei pensieri che cerco di tramutare in immagini.
Il lockdown non ha risparmiato nessuno. Nessuno tranne me.
C’era una volta a Venezia. Ora non c’è più.
Il lockdown non ha risparmiato nessuno. I passi dei lavoratori assenti riecheggiano silenziosi, un’eco che può sentire solamente chi non ha coraggio di ascoltare.
Un cantiere assopito sfregia la riva. Da una parte il bacino lo imprigiona senza delimitazioni, dall’altra una recinzione lo libera con il suo confine, dove le ombre dei suoi oggetti inanimati possono prendere vita.
Osservo la rete, non vedo nulla che valga la pena di guardare. Osservo la rete e vedo un mondo che attende di essere fotografato.
L’occhio sinistro si chiude, non vuole vedere la desolante realtà. Quello destro si apre, vuole ammirare la singolare e ordinaria dimensione prendere forma attraverso l’obiettivo.
Una volta non avrei saputo cosa guardare, annoiato dal nulla in cui mi trovo. Ora non so da dove iniziare, sopraffatto dal troppo che mi circonda.
Il cantiere sembra risvegliarsi nei pensieri che cerco di tramutare in immagini.
Il lockdown non ha risparmiato nessuno. Nessuno tranne me.
C’era una volta a Venezia. Ora non c’è più.
Il sottile nylon della veranda trattiene a stento la desolazione all’interno del ristorante abbandonato. Il riflesso debole e distorto dei pochi passanti, scivola faticosamente sulla sua superficie. Per un breve istante le sagome rimangono imprigionate al suo interno, popolando il locale di ombre.
Io non posso far altro che osservare, riscoprendomi al tempo stesso affascinato e angosciato. Un semplice scatto, senza effetti speciali né manipolazioni, per raccontare un breve momento di non-vita veneziana.
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Venezia, Covid-19-20-21
Io non posso far altro che osservare, riscoprendomi al tempo stesso affascinato e angosciato. Un semplice scatto, senza effetti speciali né manipolazioni, per raccontare un breve momento di non-vita veneziana.
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Venezia, Covid-19-20-21
Nelle calli semideserte le vetrine dei negozi ricordano con nostalgia i tempi andati. Lo shopping sfrenato è ormai solo un miraggio.
Muovendomi nei sotoporteghi di Venezia incontro solo ombre. Persone mascherate passeggiano veloci, trasformandosi in fantasmi sfuggenti.
Ho scattato alcune foto ai colombi che volano per Venezia alla disperata ricerca di cibo. Sono in questi momenti che le persone sensibili si differenziano da tutte le altre e mi riferisco a coloro che si preoccupano di dare qualcosa alle povere creature affamate.
Alcuni veneziani (non tutti ma ripeto alcuni) giustificano il loro menefreghismo e la loro indifferenza, nei confronti di questi animali bisognosi, sostenendo che il regolamento vieta di dare loro cibo, per poi magari scoprire che si tratta degli stessi individui che esaltano le azioni di chi viene ripetutamente multato per aver violato decreti e regolamenti, ad esempio vogando liberamente per Venezia quando questo non è consentito (guardate il 99% dei commenti presenti nelle condivisioni del video che ho caricato).
Come troppo spesso accade l’italiano medio interpreta leggi e regolamenti a piacimento e per il proprio tornaconto: quando fa comodo violare le regole allora si può usare il “cosa c’è di sbagliato se non faccio del male a nessuno?”, quando invece torna utile allora ci si può rifugiare nel “mi dispiace ma è vietato dal regolamento”. Si tratta di persone mediocri, intellettualmente limitate, ignoranti, egoiste e infinitamente ipocrite, che non si rendono conto che esiste anche qualcos'altro nel mondo oltre al loro nauseante ego.
Lascio quindi questo messaggio a tutti coloro che hanno un briciolo di cuore nel petto: se mentre tornate a casa, dopo aver fatto la spesa, accidentalmente vi cadono per terra un po’ di cereali (oppure riso, semi, lenticchie, grano, farro, mais o piccoli legumi in genere) non vi fucila nessuno. Se il dolore alla schiena non vi permette di chinarvi per raccogliere quello che vi è caduto, nessuno potrà crocifiggervi e avrete salvato qualche creatura indifesa e bisognosa.
Einstein disse: “Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che fanno del male, ma a causa di coloro che guardano senza fare niente.”
Alcuni veneziani (non tutti ma ripeto alcuni) giustificano il loro menefreghismo e la loro indifferenza, nei confronti di questi animali bisognosi, sostenendo che il regolamento vieta di dare loro cibo, per poi magari scoprire che si tratta degli stessi individui che esaltano le azioni di chi viene ripetutamente multato per aver violato decreti e regolamenti, ad esempio vogando liberamente per Venezia quando questo non è consentito (guardate il 99% dei commenti presenti nelle condivisioni del video che ho caricato).
Come troppo spesso accade l’italiano medio interpreta leggi e regolamenti a piacimento e per il proprio tornaconto: quando fa comodo violare le regole allora si può usare il “cosa c’è di sbagliato se non faccio del male a nessuno?”, quando invece torna utile allora ci si può rifugiare nel “mi dispiace ma è vietato dal regolamento”. Si tratta di persone mediocri, intellettualmente limitate, ignoranti, egoiste e infinitamente ipocrite, che non si rendono conto che esiste anche qualcos'altro nel mondo oltre al loro nauseante ego.
Lascio quindi questo messaggio a tutti coloro che hanno un briciolo di cuore nel petto: se mentre tornate a casa, dopo aver fatto la spesa, accidentalmente vi cadono per terra un po’ di cereali (oppure riso, semi, lenticchie, grano, farro, mais o piccoli legumi in genere) non vi fucila nessuno. Se il dolore alla schiena non vi permette di chinarvi per raccogliere quello che vi è caduto, nessuno potrà crocifiggervi e avrete salvato qualche creatura indifesa e bisognosa.
Einstein disse: “Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che fanno del male, ma a causa di coloro che guardano senza fare niente.”
Venezia, il veneziano e il nulla.
Da solo, nel salotto del mondo. La folla di ospiti è un lontano ricordo. Il veneziano è l’unico rimasto ad ammirare, in silenzio, tanta bellezza.
Covid-19-20-21
Da solo, nel salotto del mondo. La folla di ospiti è un lontano ricordo. Il veneziano è l’unico rimasto ad ammirare, in silenzio, tanta bellezza.
Covid-19-20-21
Passeggio riflettendo, in controluce.
Lame di luce affondano nel buio che popola le calli deserte. Il nulla riempie gli spazi, il silenzio domina su tutto.
Venezia è nel limbo.
Venezia è nel limbo.
I tramonti silenziosi di Venezia.
Il sole sta sorgendo su Venezia ma non c’è nessuno ad ammirarlo. Il suo splendore la veste di luce dorata, quasi a volerla risvegliare dal suo letargo… ma Venezia non si sveglierà. Non oggi, non durante il lockdown.
Covid-19-20-21
Covid-19-20-21
Calle de le Rasse, sono passate da poco le 18:00. Questa era l’ora in cui i locali si affollavano di veneziani, l’ora degli aperitivi, l’ora delle risate tra amici. Sono passate da poco le 18:00, ora la vita abbandona la città, il silenzio domina su tutto, solo la nebbia popola le calli deserte. Questa è la realtà che viviamo senza vivere realmente, questo è il tempo che cambierà il nostro tempo.
Il tricolore è tornato ad illuminare Ca’ Farsetti sul Canal Grande. Venezia un anno dopo: lockdown capitolo secondo.
Nell’immaginario collettivo i fantasmi di Natale erano quelli di Dickens, che mostravano il passato, il presente e il futuro al burbero Scrooge… ma quest’anno uno di loro si è manifestato nella realtà, facendo calare un gelido velo su quello che, almeno finora, aveva sempre riscaldato i cuori delle persone. Quest’anno Venezia ha conosciuto il fantasma del Natale presente, che ha tramutato l’amato clima natalizio in un ricordo sbiadito. Gli addobbi in piazza San Marco, che un tempo trasformavano le grigie gallerie in gioiose vie dove passeggiare, appaiono come lumini stanchi in tunnel vuoti che attendono qualcuno… qualcuno che non arriverà mai. Le vetrine oscurate, delle attività commerciali chiuse, sembrano orbite vuote senza vita che non permettono di scorgere un futuro migliore. Gli archi illuminano di luce dorata le gallerie deserte, come una coperta che cerca inutilmente qualcuno da riscaldare. Non c’è alcun calore, c’è solo un glaciale silenzio nel vuoto interminabile.
Il colore rosso, un tempo ricollegabile alla più classica delle icone natalizie, ora non è altro che il simbolo di un divieto che ormai tutti conoscono fin troppo bene: il divieto di muoversi liberamente.
Venezia, Natale 2020, gallerie di piazza San Marco, scatto singolo a 14 mm.
Il colore rosso, un tempo ricollegabile alla più classica delle icone natalizie, ora non è altro che il simbolo di un divieto che ormai tutti conoscono fin troppo bene: il divieto di muoversi liberamente.
Venezia, Natale 2020, gallerie di piazza San Marco, scatto singolo a 14 mm.
L’ultima foto del 2020. Niente effetti speciali, niente colorazioni aggiunte. Solo uno scatto nel momento più magico del crepuscolo, che ritrae il caldo pulsante all’interno delle gallerie, in contrapposizione al gelido dell’esterno. Quest’anno finalmente si conclude, speriamo che porti con sé la desolazione che ha diffuso nei nostri cuori. La stessa desolazione che domina in questa mia ultima foto.
Natale 2020, il Natale del lockdown.
Pubblico per la prima volta questa foto ad un anno di distanza da quando la scattai, vagando nella più assoluta desolazione. A farmi compagnia solamente il sibilo del vento gelido, che in quei giorni soffiava prepotente, interrotto dal frangersi delle onde sulla riva lastricata di marmo. La situazione era del tutto surreale. L’illuminazione creata dall’albero di Natale più discusso di sempre, sommata all’assenza più totale di qualsiasi forma di vita, tramutava la città in una sorta di set cinematografico vuoto, abbandonato. Ero solo, davanti ad una delle scene più rare e affascinanti che avessi mai visto, in bilico tra estasi e angoscia. Tutto attorno a me si era trasformato in un’immagine statica, la rappresentazione di un istante che non voleva passare. Un istante congelato nel tempo, nel quale potevo muovermi in assoluta solitudine.
Pubblico per la prima volta questa foto ad un anno di distanza da quando la scattai, vagando nella più assoluta desolazione. A farmi compagnia solamente il sibilo del vento gelido, che in quei giorni soffiava prepotente, interrotto dal frangersi delle onde sulla riva lastricata di marmo. La situazione era del tutto surreale. L’illuminazione creata dall’albero di Natale più discusso di sempre, sommata all’assenza più totale di qualsiasi forma di vita, tramutava la città in una sorta di set cinematografico vuoto, abbandonato. Ero solo, davanti ad una delle scene più rare e affascinanti che avessi mai visto, in bilico tra estasi e angoscia. Tutto attorno a me si era trasformato in un’immagine statica, la rappresentazione di un istante che non voleva passare. Un istante congelato nel tempo, nel quale potevo muovermi in assoluta solitudine.
Venezia, un anno fa, durante il Natale del lockdown. Non c’era nessuno ad ammirarla nel suo magico splendore. Quanta bellezza sprecata.
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